La scienza non è più, ormai da tempo, un esercizio intellettuale orientato alle riflessioni sui misteri della
natura, con l’unico scopo di svelarne i segreti. Un esercizio riservato a gentildonne e gentiluomini, perlopiù
al riparo dal bisogno, e condotto nell’intimità di studi o laboratori. Oggi la scienza opera al di fuori dei
laboratori, o meglio, esporta al difuori dei suoi laboratori – tutti i giorni – i risultati delle sue ricerche, con
l’esplicito proposito di modificare il nostro mondo percettibile e non percettibile, in virtù di un sapere che
rimane comunque ipotetico e provvisorio.
Solo i più sprovveduti non si accorgono di come l’apparato scientifico sia dipendente da 3 poteri, che lo
gestiscono completamente. Il primo è il potere politico-economico-burocratico, da cui dipende
l’assegnazione e la gestione dei fondi destinati alla ricerca e l’individuazione delle aree scientifiche da
privilegiare. Il secondo è il potere dell’industria dell’editoria scientifica, da cui dipende la visibilità dei
ricercatori e il loro grado di influenza, dentro e fuori la loro comunità di riferimento. Il terzo è il potere
dell’industria della strumentazione scientifica e dei prodotti di consumo, da cui dipende la vita quotidiana
dei laboratori.
Senza finanziamenti la scienza “muore”. I finanziamenti non sono erogati da benefattori, ma da entità
interessate a estrarre valore aggiunto da risultati scientifici, risultati spendibili sul mercato,
indipendentemente dalla loro solidità teorica e pratica e dalla loro effettiva utilità. Tutto questo appare
abbastanza ovvio. Meno ovvio è il considerare come l’approvazione sociale sia indispensabile per tradurre
risultati scientifici in valore economico. Il punto nodale del rapporto tra scienza e società risiede proprio in
questo: come far approvare dalla società risultati scientifici, pilotati verso obiettivi preordinati da forze
esterne alla scienza, che, esplicitamente, pretendono di modificare il nostro mondo. Trasformazioni, per lo
più irreversibili, sulle quali non è possibile esercitare un controllo che assicuri l’assenza di pericoli presenti e
futuri. Pericoli che potrebbero divenire evidenti quando il sapere scientifico di oggi cederà il passo al sapere
scientifico di domani. Non si tratta di estremizzare il principio di precauzione (principio peraltro mai del
tutto applicato a nessuno degli aspetti di maggior momento relativi agli effetti della scienza sulla società),
estendendolo tanto sino a impedire l’avanzamento delle conoscenze. Né si tratta di invocare la rinascita di
una moderna iconoclastia, applicata alla teoria e pratica scientifica. Si tratta dell’accettazione sociale di
cambiamenti radicali e definitivi, come, ad esempio, l’introduzione di OGM in agricoltura e l’editing
genetico esteso ad ogni organismo vivente.
Per raggiungere l’obiettivo imposto dall’indispensabile accettazione sociale sono necessarie tre distinte
operazioni. La prima deve dichiarare, dimostrare e modellizzare le magnifiche sorti e progressive di un
sapere infallibile, un sapere che tradisce il suo assunto fondativo e si propone come unico strumento
salvifico. L’umanità può oggi solo pregare che la scienza risolva tutti i suoi problemi. Bisogna credere che
fame, ingiustizia sociale, malattia, miseria, persino la caducità della vita, saranno risolti dalla scienza e dal
suo braccio tecnologico. Questo è un obiettivo pienamente raggiunto, se è vero che persino i danneggiati
dai vaccini pregano la stessa scienza, che pur ne ha rovinato le vite, perché li sollevi dalle loro miserie
fisiche. È così, si impedisce ogni riflessione critica attraverso l’implementazione di un sistema di sudditanza
culturale ed emozionale.. Un sistema che identifica sé stesso con l’unico elemento salvifico possibile: la
scienza assunta a dogma e le sue teorie elette a verità epistemiche. L’esatto contrario di ciò che la scienza
dovrebbe essere. La scienza über alles
La seconda operazione canonizza le modalità che permettono di stabilire la verità. Un processo ormai
divenuto abbastanza semplice. L’iperliberismo sta cancellando, ormai da anni, le barriere poste a difesa di
alcuni settori della società, un tempo al riparo dal sistema dei prezzi. Religione, cultura, creazione artistica,
assistenza sociale e sanitaria, scienza e la stessa spiritualità sono divenute aree nelle quali esercitare le
scommesse dell’agire economico, dunque aree nelle quali valgono le regole del mercato. Foucault identifica
il mercato come luogo in cui, per definizione, si stabiliscono i processi di “veridizione”, che permettono di
stabilire il “giusto prezzo” delle merci e dei servizi. Se tutto è merce e tutto è servizio, tutto ha un prezzo e il
mercato si incarica, attraverso le sue regole, di stabilire la sua verità nei termini di ciò che deve essere fatto,
di come deve essere fatto e di che valore economico attribuire a ciò che si fa, nel modo e nei termini
stabiliti dal mercato stesso. La scienza non fa eccezione a questa regola. La scienza esiste come tale solo
perché produce valore aggiunto. Tale valore, di conseguenza, rappresenta lo scopo ultimo della ricerca
scientifica, scopo elaborato da un sistema estraneo alla scienza stessa.
La terza operazione riguarda ciò che Baudrillard definisce “La generazione per modelli di un reale senza
origine.” Attiene alla dematerializzazione della vita umana, delle attività umane e persino dei corpi umani. Il
mondo virtuale è ben più della gestione informatica di transazioni bancarie, rapporti sociali o di nuove
tecnologie belliche. E’ un’immagine del mondo derivata da segni estratti dal reale con i quali sostituire il
reale. Le criptovalute, le scommesse speculative della finanza, gli NFT (non-fungible token), il metaverso (la
creazione di valore globale grazie al metaverso potrebbe essere nell’ordine dei trilioni di dollari nei prossimi
anni) e la “realtà aumentata” (un mix di neuroscienze, scienze cognitive, elettronica, informatica e robotica)
fanno da contraltare a una scienza costituita da algoritmi bioinformatici e stringhe molecolari, senza
necessariamente una corrispondenza con il mondo della vita e degli esseri viventi. La biologia genocentrica
ha già declassificato gli esseri viventi a puri contenitori dei loro geni, a epifenomeni della massimizzazione
dell’egoismo dei geni orientato all’unico obiettivo di ottimizzare la loro replicazione. Così facendo ha posto
di nuovo la vita sotto il controllo del mercato, assimilando gli organismi viventi, tutti gli organismi viventi,
agli esseri sociali, descritti dai filosofi ed economisti utilitaristi come puri contenitori di stati di utilità. La
recente vicenda del covid ne è una straordinaria conferma: un virus costruito in silico assurge alla dignità di
concretezza attraverso un’azione patogena mai dimostrata, in grado di provocare una vecchia e ben
conosciuta malattia, fatta passare per nuova e sconosciuta. Una malattia diagnosticata con un test che non
funziona e combattuta con vaccini che non immunizzano. Cosa rimane? Rimane il solo “segno” della
scienza, privato della sua essenza reale e vissuto al difuori del razionale, perché non si commisura e non ha
bisogno di commisurarsi a nessuna istanza, se non quella dell’infinita possibilità combinatoria in uno spazio
che non ha più bisogno di essere reale.
La scienza è dunque declassificata a strumento marginale, pur nella sua sovraesposizione mediatica,
diminuita e contenuta nelle sue dinamiche conoscitive, ormai assoggettate a logiche estranee al pensiero
scientifico. Forze esterne alla scienza sono in grado di orientarne l’azione verso scopi propri solo
all’accumulazione e circolazione di capitali. Così la scienza muore nel tentativo di non morire, grazie alla
perpetuazione degli stessi meccanismi sociali ed economici che dovrebbero assicurarne la sopravvivenza.